Il secondo gradino


   Avvolta in completi sempre ben tenuti. Impeccabili. La schiena dritta e le mani elegantemente adagiate sulle gambe. I capelli in ordine e il volto marcatamente segnato dall’ età. Amava stare su una seduta  non convenzionale: il secondo gradino dell’ingresso di casa sua, di fatto a ridosso della strada sulla quale sfrecciavano continuamente le automobili, inclusa la mia. La notai per la prima volta in un giorno di primavera, era metà aprile, e la sua figura così minuta e composta attirò subito la mia attenzione. Credo potesse avere una ottantina di anni e vederla seduta su quel gradino fuori casa con lo sguardo rivolto al passare di automobilisti e pedoni mi aveva fatto pensare che potesse trattarsi di una donna animata da curiosità. Andando avanti con le mie congetture su quella signora assai distinta, pensai che potesse essere una che di certo amava stare all’aria aperta, ma che probabilmente per via di difficoltà motorie non poteva concedersi la possibilità di fare passeggiate. Ricordo che pensai anche alla possibilità che la donna non volesse allontanarsi troppo da casa sua perché ci teneva a restarsene lì, forse per un sentimento d’affezione. Del resto sono sempre stata una che con la fantasia ha viaggiato molto.
    Ricordo che era giugno quando, passando davanti casa della donna,  la vidi coerentemente seduta su quel secondo gradino mentre era tutta assorta ad accarezzare un gatto che stava ai suoi piedi. Il piccolo felino dal pelo aranciato incurvava la schiena e si crogiolava tra una coccola e l’ altra. Quel giorno ebbi la netta impressione che anche l’ anziana signora fosse piuttosto rilassata e io, di fronte a quella tenera scena, ricordo bene che provai un chiaro senso di pace e perciò ne sorrisi. Il ricordo di quel suo vestito a fiorellini chiari su fondo blu è accompagnato da quello del tipico caldo umido e asfittico del mese di luglio. La donna aveva in mano un ventaglio rosso veneziano con il quale spostava l’aria ricavandone un fresco effetto placebo. Sul secondo gradino, esattamente al suo fianco, però quel giorno era poggiato un fagotto a quadretti bianchi e rossi ed era fortemente intuibile che al suo interno ci fosse qualcosa di commestibile.  Non pensai che qualcuno le avesse donato quel pacchetto, piuttosto che lei stesse aspettando una persona alla quale consegnarlo. E quella persona non tardò ad arrivare in sella alla sua bicicletta. Dai tratti somatici doveva essere originario del Mali, era magro, alto e con un sorriso aperto e spontaneo, di quelli che non hanno paura di mostrarsi. Con la sua bici il ragazzo si fermò esattamente di fronte alla signora seduta, ella quasi in maniera istantanea si alzò, prendendo in mano il fagotto quadrettato e lo porse all’africano. Al “grazie” di lui, lei rispose con “buon lavoro”, aggiungendo subito dopo una raccomandazione tipica delle mie parti: “piano piano!”, come a volergli dire “mi raccomando, presta attenzione”. Il ragazzo mise il fagotto nel cestino e si avviò verso la campagna, visto che il suo abbigliamento lasciava intendere che la sua destinazione lavorativa sarebbe stata  proprio quella.
    Porto nella testa, ma soprattutto nel cuore, quella scena, il gesto affettuoso e generoso di un’ anziana donna. E quando mi trovo di fronte alle tante brutture e storture del mondo  lo richiamo alla memoria e provo un prezioso senso di sollievo del quale sia io che il ragazzo maliano saremo per sempre grati alla signora del secondo gradino. 

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