Mantengo l'eleganza anche nella confusione della pioggia
[Questo post è frutto di un esercizio con il Gruppo di Scrittura che sto frequentando. Ho pescato tre parole (eleganza-confusione-pioggia) e ho scritto una storia che abbracciasse i 3 termini]
Fabrizio
De André l'ha scritto in una canzone che ci sono quelli che
aspettano la pioggia per non piangere da soli. Oggi piove e io sono
uno di loro. Non appena ho visto le nuvole riunirsi scure nel cielo,
sono schizzato fuori dal mio ufficio e ho tirato un sospiro di
sollievo perché sapevo che da lì a poco mi sarei lasciato andare ad
un pianto liberatorio. Proprio per questo l'autunno è la mia
stagione preferita, ma anche quel pazzo di marzo mi regala non poche
soddisfazioni. Sono sotto la poggia e piango come un bambino, mi
sbarazzo della tristezza per lasciare spazio alle nuove inquietudini
che scalpitano per venire a farmi compagnia. L'acqua mi bagna i
vestiti e i pensieri, ho gli occhiali appannati e i miei piedi
nuotano nelle scarpe. E' piuttosto frustrante fingere gioia quando ci
si sente morire dentro. Per gli altri io ho tutto, ma per me quel
tutto non è nulla.
Mi
chiamo Giulio, 40 anni portati piuttosto male e sono un manager.
Nella mia vita ho fatto davvero tutto, forse anche anche troppo. Ho
studiato, vissuto e lavorato all'estero. Me la sono sempre spassata
con i soldi di papà. Non mi sono mai privato di nulla. Una volta
rientrato in Italia, ho potuto campare di rendita senza fatica né
preoccupazioni e mio padre ha avuto l'accortezza di andare un po'
prima in pensione per lasciare il suo posto al vertice dell'azienda a
me, suo unico erede. Sono circondato e avvolto dalla stima e
dell'affetto dei miei amici che mi guardano con ammirazione costante
perché “Giulio ne sa, Giulio è una persona brillante, Giulio sa
sempre cosa fare e come farlo”. A volte mi lascio quasi trasportare
dalla tentazione di credere che loro abbiano ragione, poi rinsavisco
e guardo in faccia la mia realtà: io nella vita non ho mai fatto
delle scelte, ma sono state le decisioni degli altri ad essere
ricadute su di me. Io mi trovavo semplicemente a passare di lì per
caso. Sono sempre stato sfacciatamente fortunato.
La
donna che ha deciso di diventare mia moglie, dopo il primo anno di
matrimonio, ha voluto un figlio da me e io gliel'ho dato perché non
avrei mai voluto urtare la sua sensibile suscettibilità. In realtà
non sono innamorato di lei, ma come potrei, visto che non provo amore
neanche per me stesso? Cerco di non farmi mancare una donna in ogni
porto dove attracco con la mia nave, neanche fossi un marinaio! Lì
fuori è pieno di donne che farebbero carte false pur di passare
anche solo un paio d'ore in mia compagnia e io non faccio altro che
assecondarle, le riempio di complimenti e di regali, così il mio ego
cresce un po', ma mai quanto il loro. Sono irretito dal fascino
femminile, faccio presto a cascare ai piedi di una bella donna, ma
altrettanto presto passo alla successiva, senza farmi troppi
scrupoli. Sono uno che si annoia presto.
Ora
che ho preso tanta pioggia e ora che ho pianto tanto, con gli occhi
ancora gonfi, rossi e lucidi, decido di camminare verso quel caffè
con il tendone rosso. Non ci sono mai stato e mi siedo fuori, sulla
prima sedia arrugginita che incontro. Poggio i gomiti sul tavolino
traballante e incastro il mento tra le mani. Giusto il tempo di
sentire la tovaglietta bagnarsi sotto le mie braccia che la cameriera
si avvicina e mi chiede se sto aspettando qualcuno. Io la guardo,
sorrido e le dico che piuttosto sto aspettando qualcosa, ma che nel
frattempo può portarmi un Alabama Slammer, il mio cocktail
preferito, che la ragazza non ha evidentemente mai sentito nominare.
Lei appunta il nome del drink sul blocchetto e torna nel bar,
sperando che qualcuno lì dentro ne sappia più di lei su questo
benedetto Alabama Slammer.
Sono
passate ventiquattro ore da quando ho mangiato quelle bacche. Lucide,
nere, carnose, dolci e ricche di sapore. Me ne ha parlato un mio
amico che si intende di botanica e le ha chiamate “ciliegie di
Satana”. Con i tempi ci siamo, inizio a sentire la bocca secca e ho
difficoltà a deglutire, sento la pelle prudere e avverto dei
dolorosi e irregolari spasmi muscolari. Il mio amico mi aveva detto
che l'avvelenamento da bacche di Belladonna provoca allucinazioni,
sonnolenza, tachicardia. Ho le pupille dilatate e la mia vista è
annebbiata. Vedo ondeggiare lentamente verso di me il mio Alabama
Slammer, dietro c'è la cameriera. Lei posa il drink sul tavolino e
si lascia sfuggire un “spero sia di suo gradimento”. Io non ho
forza e voglia di risponderle e la mando via con un cenno della mano.
Porto alla bocca il bicchiere ghiacciato, avvolgo la cannuccia con le
labbra, sento e vedo che la mia mano trema vistosamente. Faccio un
sorso e ho la riprova del fatto che sono davvero in pochi a saper
fare questo drink. Chiaramente non è questo il caso. Giusto il tempo
di fare quest'amara riflessione, che sento il cuore fermarsi.
Finalmente ho fatto una scelta nella mia vita. Scelgo di morire.
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