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Il secondo gradino

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   A vvolta in completi sempre ben tenuti. Impeccabili. La schiena dritta e le mani elegantemente adagiate sulle gambe. I capelli in ordine e il volto marcatamente segnato dall’ età. Amava stare su una seduta  non convenzionale: il secondo gradino dell’ingresso di casa sua, di fatto a ridosso della strada sulla quale sfrecciavano continuamente le automobili, inclusa la mia. La notai per la prima volta in un giorno di primavera, era metà aprile, e la sua figura così minuta e composta attirò subito la mia attenzione. Credo potesse avere una ottantina di anni e vederla seduta su quel gradino fuori casa con lo sguardo rivolto al passare di automobilisti e pedoni mi aveva fatto pensare che potesse trattarsi di una donna animata da curiosità. Andando avanti con le mie congetture su quella signora assai distinta, pensai che potesse essere una che di certo amava stare all’aria aperta, ma che probabilmente per via di difficoltà motorie non poteva concedersi la possibilità di fare passeggiate. R

Campione

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     (photo credits:  https://www.agbe.eu/progetto/casa-alloggio/ )      Mi chiamo Cristian e ho nove anni e mezzo. Parlo poco, ma penso tanto. Me lo dice sempre la mamma quando parliamo al telefono. La casa rossa dove vivo da sei mesi con papà ha muri alti e tante stanze. Da tutte le finestre che ci sono si può vedere il verde giardino che fa il giro della casa.  Ci sono fiori, scivoli, altalene, alberi e due gattini che però vengono da noi solo quando hanno fame: si chiamano Mimmo e Biagio, uno è bianco e l’altro è nero, uno ha la coda e Biagio non ce l’ha più. Chissà che fine avrà fatto! Insieme a me e a papà  vivono anche altri bambini insieme ai loro genitori. C’è Federico che mi ha detto che da grande vuole fare il pompiere,  Marta che parla sempre con Elena la sua amica invisibile, Enrico che non sa dire la n, Mario che mi ruba sempre la matita a scuola e Serena che va sulla bicicletta dei grandi, quella con solo due ruote.      La scuola dove papà mi porta tutti

Nostalgia

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“Sentimento malinconico che si prova nel rimpiangere cose e tempi ormai trascorsi o nel desiderare intensamente cose, luoghi e persone lontane”. Ecco questa è la definizione di Nostalgia ed è anche la mia. Del resto io sono quella dallo sguardo sognante di fronte al finestrino di qualsiasi treno, quella che si perde nelle sfumature delle albe e dei tramonti, quella che difficilmente fa pace con i cambiamenti, quella che alle canzoni lega i ricordi e anche i profumi, quella che al dito ha ancora l’anello del primo fidanzato, quella che conserva le sue prime scarpine rosa con l’idea che un giorno saranno calzate da sua figlia, quella che con difficoltà accetta che quello che è stato non sempre ancora sarà. Sono sempre io quella che non ha piena consapevolezza degli anni che passano così come dei torti subiti perché la mia malandata, ma salvifica  memoria  tende a cancellare ciò che mi ha fatto davvero male.  “Sentimento malinconico che si prova nel rimpiangere cose e tempi ormai t

Riparare con l’oro

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Kintsugi o kintsukuroi - letteralmente “riparare con l’oro”- è il nome di un’antica tecnica giapponese impiegata per la riparazione di oggetti in ceramica che si sono rotti. Questa tecnica consiste nel saldare insieme i frammenti dell’oggetto utilizzando una mistura di lacca e oro in polvere o, più raramente, di lacca e argento. Lo scopo delle riparazioni eseguite con questa tecnica non è quello di nascondere il danno, ma di enfatizzarlo, incorporandolo nell’estetica dell’oggetto riparato che in tal modo diventa, dal punto di vista artistico, “migliore del nuovo”. Rispetto all’oggetto nuovo, infatti, l'oggetto riparato è più prezioso, sia per la presenza dell’oro o dell’argento, sia per il suo essere unico.   Per gli occidentali, nella vita quotidiana, il più delle volte una rottura ha un’accezione negativa, di vergogna e dolore, di senso di colpa e fallimento.  Al contrario, per  i giapponesi, ogni storia, anche la più travagliata e dolorosa, è origine di bellezza e ogni cica

Pedone Maledetto

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Hai presente quando sei in macchina e hai fretta perché, tanto per cambiare, sei in ritardo? È scientificamente provato che sulla tua strada incontrerai delle strisce pedonali e un fastidioso pedone che si appresta a calpestarle per attraversare. Tu sei infastidito da quella presenza, ma concedi al pedone il lusso di passare e con la mano fai quel gesto che sottolinea la grande concessione che gli stai facendo. Hai presente quando quel pedone rallenta il suo passo sulle strisce, ti guarda sdegnato in maniera strafottente e decisamente ingrata di fronte alla tua gentile concessione di farlo attraversare?  Ecco, quel pedone sono sempre io.

Diari di Guerra

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(foto da  centroabruzzonews.blogspot.com   ) Venerdì 30 Maggio 1944, Mezzogiorno C’era un sole alto, l’aria era calda e quello era il mio secondo giorno al Ristorante Italia. Dovevo ancora realizzare il fatto di essere riuscita a trovare lavoro come cameriera proprio lì, in quel locale così prestigioso al centro della città, in piena Piazza Venti Settembre. Nicola il titolare, riuscendo a malapena a nascondere il suo orgoglio macchiato di ansia da prestazione, mi aveva  detto che quel giorno a pranzo avremmo avuto degli ospiti speciali: il generale tedesco Albert Kesselring con alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Proprio per via della loro presenza, il locale sarebbe rimasto chiuso al pubblico così da poter assicurare al generale e ai suoi il Rispetto e la Riservatezza che si confacevano ad uno degli amici più fedeli di Hadolf Hitler. Così mi aveva detto il Signor Nicola e io, che i motivi di quella guerra proprio non li avevo capiti, non riuscivo a comprendere neanche

Nonna.

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Stamattina Google mi ha ricordato che è la festa dei nonni e io l’ho ricordato a te, telefonandoti.  Siamo lontane, ma il pretesto per sentirci sappiamo bene come trovarlo per ritrovarci. Sempre. Tu sei l’unica nonna che io abbia e io sono la tua nipote più grande. Tu mi hai insegnato molto e continui a darmi lezioni di vita con la tua forza d’animo che si traduce in forza fisica, nonostante le tue novanta primavere, la tua schiena che fa i capricci e quel bastone al quale ti appoggi da quando tuo marito non c’è più. Mi hai insegnato a ricamare, a fare il punto croce, il punto a giorno, a fare la maglia di lana e la pasta all’uovo, a piegare bene i panni appena ritirati per poterli stirare col minimo sforzo, a dire un proverbio per ogni situazione e a lasciarsi andare ad una risata anche quando le uniche cose a scappare sarebbero le lacrime. Mi dici spesso “Beato chi ti si prende!” e mi ricordi che il corredo che hai preparato per me è nella cassapanca in camera tua. Io ti ascolto,